La Pittura dei Barbari


 Nel maggio del 1944 Gian Piero Bognetti scoprì in una piccola chiesetta ubicata nelle vicinanze di Varese, a Castelseprio, un importante ciclo di affreschi, scoperta che avrebbe cambiato il corso delle ricerche e dei giudizi sulla pittura e sull’arte barbarica in generale.

Gli affreschi furono datati dallo stesso Bognetti alla seconda metà del VII secolo in un periodo durante il quale quel piccolo centro e la relativa chiesetta intitolata a S. Maria foris Portas rientrava nel Regno dei Longobardi del Nord, la Longobardia Maior.

E’ da precisare che in quell’epoca gli studi relativi a questo popolo ‘barbaro’ erano concentrati soprattutto su ricerche e scavi archeologici che restituivano tombe, sepolture e corredi funerari impreziositi da croci, fibule, elmi, insomma elementi materiali relativi al valore politico e militare di tali popolazioni. Non erano ancora state condotte le importanti ricerche storiche e archeologiche nei centri di Brescia e Pavia, i restauri non avevano restituito ancora gli affreschi presenti nella chiesa di S. Sofia di Benevento, poche ed ancora approssimative erano le ricerche e gli studi su alcuni importanti pezzi scultorei come l’altare di Ratchis e quello di Vuolvinio a Milano e la stessa Cividale con il suo tempietto appariva come un episodio quasi isolato nella produzione a stucchi dell’architettura ornamentale longobarda.

Insomma la scoperta di Bognetti da un lato apriva nuovi orizzonti dall’altro rischiava di far ‘pericolosamente’ ripensare ad un concetto come quello relativo all’arte barbarica.

 

Fu subito chiaro che quell’accostamento tra il ciclo affrescato di Castelseprio e l’arte barbarica rischiasse di far vacillare un sistema di correnti critiche e storico/artistiche che seppur potessero ammettere l’incidenza politica, militare e storica di popolazioni come i Longobardi di certo ne limitavano le potenzialità artistiche e culturali che rimanevano sempre legate a doppio filo al centro della cultura che, a seconda dei giudizi, fluttuava da Bisanzio a Roma e comunque rimaneva fortemente ancorata alle produzioni pittoriche o miniate riportate sui muri delle chiese o sulle pergamene dei codici da monaci, committenti ecclesiastici e grandi vescovi.

 

Lo stesso K. Weitzmann prendendo in considerazione le scoperte di Bognetti a Castelseprio e l’attribuzione di quegli affreschi non potè che ripiegare su posizioni critiche istituzionali ripercorrendo la grande tradizione dei codici greci e bizantini sino a ripensare alle suggestioni della rinascenza macedone. Weitzmann sei anni dopo le scoperte di Bognetti dedicò un lungo articolo agli affreschi di S. Maria di Castelseprio, un intervento di respiro internazionale pubblicato dall’Università di Princeton nel 1951. Ciò confermava non solo la portata di quella scoperta, ma soprattutto il problema che gli affreschi sollevavano, l’ambiente culturale da dove provenissero, poneva problemi sul fatto di come un artista (?) di origini o di cultura orientale fosse approdato in un piccolo centro della Longobardia e trovava un plausibile riferimento nella circolazione di codici miniati o di personaggi appartenuti alla cosiddetta ‘Rinascenza’ macedone’. Ma la questione era tutt’altro che chiusa, anche perchè Bognetti, più storico che storico dell’arte, poneva l’accento sull’incidenza dei Longobardi non solo nell’arte, ma anche nella religiosità cristiana che culminerà con la consacrazione romana del vescovo longobardo di Pavia Damiano. Tutti aspetti che coinvolgeranno storici come Tabacco e storici dell’arte e che prendono spunto proprio dagli affreschi di Castelseprio, una porta sulla riconsiderazione della cultura e dell’arte barbarica. Esiste a tal riguardo un dettagliato studio di Paolo G. Nobili, Tra tardoantico e X secolo, gli scenari attorno agli affreschi di Castelseprio. Uno status quaestionis storiografico, pubblicato dalla rivista Porphira e scaricabile facilmente dalla rete.

 

A distanza di tanti anni, comunque, esistono ancora importanti resistenze relative alle produzioni artistiche e culturali dei Longobardi che si sono in parte affievolite con gli anni delle grandi mostre dedicate a questo popolo ed ai carolingi tutte realizzate tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo in Italia e soprattutto in Croazia (Spalato). Nonostante tutto ciò per quanto concerne la pittura soprattutto nella Longobardia Minor esistono ancora parecchie linee di ricerca ancora da approfondire. E non certo per la mancanza di rinvenimenti materiali. La pittura per esempio in Italia Meridionale ha goduto di importanti scoperte o ritrovamenti, come ad esempio gli affreschi di Benevento, ma anche gli affreschi rinvenuti in modo parziale a S. Vincenzo al Volturno. Molti sono stati gli studi su alcuni importanti cicli affrescati che hanno riportato l’attenzione su un determinato periodo storico legato ai longobardi come i resti di affreschi in area campana e basso laziale, su tutti quelli presenti nella grotta di S. Michele ad Olevano sul Tusciano, ma anche le sporadiche tracce rinvenute nella stessa Basilica di S. Michele a Monte S. Angelo. Sino ad arrivare ad accostamenti all’area culturale monastica legata alle incidenze barbariche quando si è parlato del grande ciclo affrescato di S. Angelo in Formis, sempre in Campania, e ad alcuni tratti di pitture lucane e pugliesi, come nel caso delle pitture della Cripta del Peccato Originale di Matera, nonché del Tempietto di Seppannibale a Fasano.

 

I riferimenti a modelli di pittura maturata in periodo longobardo e carolingio in questi casi sono stati segnalati considerando anche le possibili influenze derivate dalla diffusione di codici miniati realizzati in ambito monastico benedettino. E’ questa una linea prevalente che ha funzionato sia in ambito generale che in quello più circoscritto alle emergenze territoriali e locali. In ambito generale i riferimenti ai codici maturati in età longobarda e soprattutto carolingia sono stati ripresi citando testi quali il Salterio di Utrecht e quello di Corbie, nonché il Ms 18 di Amiens per i cicli affrescati di Mustair e di St. Benoit di Malles. Sono esempi importanti che di certo riportano il contesto della espressioni figurative a quello maturato non soltanto in un periodo specifico, ma anche in un ambito che fa riferimento alla cultura monastica ed anche al ruolo che i monaci ebbero nelle vicende storiche relative all’affermarsi dei regni cosiddetti barbarici in Italia.

Tale percorso critico dovrebbe funzionare anche per quanto emerge nell’Italia Meridionale. Per quanto concerne l’area campana è inevitabile il riferimento alla scuola monastica e miniatoria beneventana che di certo si sviluppa parallelamente alle vicende relative al regno di Arechi nella Longobardia minor che vede negli affreschi di Olevano sul Tusciano, di S. Sofia a Benevento e S. Vincenzo al Volturno le più chiare espressioni, ma nonostante questo esistono alcune vicende che sarebbe il caso di approfondire.

Tra le prime va senz’altro ricordato il monumentale ciclo di S. Angelo in Formis, proprio in area campana, che sembra costituire un ponte essenziale tra la tradizione bizantina e le suggestioni di area longobarda e ‘barbarica’ con quei volti dalle gote arrossate che riprendono i caratteri di codici miniati di area meridionale da quelli campani e beneventani, senza tuttavia non guardare a quanto accadeva a Roma. E sì perchè ho tralasciato proprio per questo un episodio romano che mi sembra di grande stimolo per le riflessioni critiche e storiche: il complesso di affreschi di S. Maria Antiqua.

Sul colle Palatino, praticamente annessa agli Orrea Agrippina la Basilica di S. Maria Antiqua offre un raro esempio di pitture databili ai primi anni del 700 che costituiscono un riferimento essenziale per comprendere e discutere delle correnti iconografiche e pittoriche di quegli anni. Se ne è occupato D.kNIPP in uno studio intitolato ‘The Chapel of Physicians at S. Maria Antiqua’ pubblicato per i Dumbarton Oaks Papers, anche questo scaricabile dalla rete. La conclusione della lunga e articolata disamina dello studioso si conclude così: ‘the suggested use of the chapel with its icon as a space for incubation seems very much in keeping with the idea of Rome around A.D. 700 as a predominantly Byzantine city’. Eppure lo stile di quegli affreschi rimandano a tantissime considerazioni relative a quanto potesse accadere a Castelseprio, a quanto poi sarebbe accaduto a S. Angelo in Formis ed anche a quanto potrebbe avere influito tale stile, che a questo punto definirei un passaggio significativo della pittura in età barbarica, per un altro pezzo importante: il crocifisso conservato nel Monastero di S. Maria sull’isola di S. Nicola alle Tremiti.

A proposito di tale Croce dipinta, della quale non si conosce nulla se non il fatto che sia attestata nell’abbazia a partire dal XVI secolo, una studiosa come P. Belli D’Elia pone interessanti riflessioni. Innegabilmente bizantineggiante la Croce dipinta ‘attende ancora uno studio specifico; penso tuttavia che l’indagine dovrebbe muovere sia verso la Dalmazia, sia in direzione della Campania cassinese, se sulla parete nord della navata di S. Angelo in Formis si riconosce una scena di Crocefissione con caratteristiche molto affini a queste’.

La questione dunque rimane ancora aperta e non è escluso che fra queste esperienze meridionali e le iniziali suggestioni del nord, di Castelseprio, possa essere inserito il ciclo di S. Maria Antiqua: a quel punto l’idea di un’arte barbarica lascerebbe il posto ad un’idea sicuramente più articolata di quella che fu la pittura e la figuratività fra VII e VIII secolo, quando quei ‘barbari’ si affermarono nei territori e nella cultura dell’Impero.

 

6 pensieri su “La Pittura dei Barbari

  1. Seguo da tempo il Suo blog, che trovo molto interessante e vario. Per questo mi permetto un commento “a caldo” al suo ultimo post. non sono un esperto di arte ma non vedo come gli affreschi di Castelseprio (“questo inaspettato ed insondabile frammento di pittura bizantina nella storia locale del varesotto” per dirla con l’autore del saggio su Porphyra proprio da Lei citato) non vedo come questi affreschi possano propriamente rientrare nella “riconsiderazione della cultura e dell’arte barbarica”. la committenza potrebbe anche in linea teorica essere stata longobarda, ma di certo non lo sono nè stile nè la temperie culturale! La caratteristica di questi affreschi è proprio quella di essere un incluso fuori contesto. i Suoi riferimenti poi agli affreschi di s. Angelo in Formis abbasserebbero la datazione alla fine dell’XI sec., cioè ben trecento anni dopo la fine della Langobardia maior e soprattutto quando la Langobardia minor risentiva del forte bizantinismo dell’abate Desiderio: cioè, ancora una volta, con un qualcosa che di “longobardo” e di “barbarico” aveva ben poco. ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente. enrico.

    • grazie per il commento che mi concede l’opportunità di chiarire alcune cose che lei sottolinea e che forse non ho esposto in modo conveniente.
      Per quanto concerne Castelseprio: è ormai da tempo che gli affreschi di S. Maria foris Portas vengono considerati come espressione di un contesto culturale complesso, che rimanda anche ad alcuni affreschi presenti ad Aosta ed a Cividale del Friuli. In tale contesto si parla di una riconsiderazione delle influenze stilistiche che partendo dal cosiddetto stile bizantino segnano un passaggio ulteriore in questo caso maturato in un contesto cronologico longobardo non possono non fare riferimento a quanto la produzione monastica al tempo dei longobardi, ma poi anche dei carolingi stava producendo. Ed è proprio a quella cultura maturata in anni e territori diversi, ma comunque legata alle esperienze dei monaci miniatori che si legano anche le altre riconsiderazioni di cicli pittorici come quelli di S. Angelo in Formis che probabilmente al momento rappresentano uno dei punti di interessanti di discussione in tal senso.
      I caratteri stilistici della pittura bizantina, così come tessuta nei testi di Lazarev e Belting, costituisce un riferimento che si cerca di superare, lo si è fatto per quanto riguarda le pitture e le crocifissioni toscano-espressioniste del XIIe XIII secolo, e ormai anche in Italia Meridionale tali definizioni non possono tenere conto non tanto di un’arte barbarica, la mia era una celata provocazione, quanto di uno sviluppo artistico e culturale degli ambienti monastici maturato proprio tra VII e IX secolo.
      Quindi, come spero di aver fatto intendere, il mio articolo non intendeva escludere soltanto i caratteri stilistici della pittura bizantina, quanto esprimere un balzo in avanti maturato nell’Europa monastica Longobarda e Carolingia, prima ancora che in quella Normanna o Romanica.

      • anzitutto mi scuso per il ritardo nella risposta (dovuto a cause di forza maggiore) e la ringrazio per la cortese risposta, che trovo interessante soprattutto per quanto riguarda l’accenno all’ambiente monastico meridionale altomedievale (che io non conosco). le sarei grato se Lei potesse suggerirmi in proposito un testo o due per approfondire l’argomento. La ringrazio ancora per l’attenzione e per l’impegno che Lei dedica al suo blog. enrico.

      • non è facile suggerire studi generali su tale fenomeno comunque due o tre riferimenti sono questi.
        “Cristianizzazione ed organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’alto medioevo: espansione e resistenze”, XXVIII Settimane di Studio del Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1982;
        H. Houben, “Il monachesimo nell’Alto Medioevo e la formazione della civiltà occidentale”, Spoleto 1967;
        H. Houben, “Tra Roma e Palermo: aspetti e problemi del mezzogiorno medievale”, Galatina 1989;
        M.S. Calò Mariani, “Insediamenti benedettini in Puglia”, Galatina 1985;
        G. Bertelli, “Puglia Preromanica”, Jaca Book 2004
        M. Falla Castelfranchi, “Pittura Monumentale bizantina in Puglia”, Electa 1991.

        Poi ovviamente ci sono testi sui risultati archeologici di S. Vincenzo al Volturno ed una messe di documenti raccolti da Leccisotti e Martin sull’ordine benedettino in Italia Meridionale

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